E pochi anni fa, il leghista Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno, negava la presenza delle Mafie nel Nord Italia…

Roberto Maroni, ex Ministro dell’Interno

Solo pochi anni fa, nonostante le evidenze portate alla luce dalle forze dell’ordine e dalla magistratura, l’ex ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni, negava la presenza delle Mafie nel Nord Italia, ed ora, alla luce della triste realtà dei fatti odierni, viene da pensare e riflettere seriamente sulla difesa che lui fece a spada tratta della sua deludente visione delle cose, ed un servizio del 2014 del settimanale l’Espresso, ne è testimonianza.

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Articolo de L’Espresso del dicembre 2014.

Ultimo colpo alle cosche calabresi: 96 condanne, 500 anni di carcere. Il processo “Crimine” ha confermato come le organizzazioni criminali siano arrivate in tutta Italia. Ma i politici continuano a far finta di non vedere.

Nelle scorse settimane sono state confermate le condanne del processo alla ’ndrangheta chiamato “Crimine”: 96 in tutto, per 500 anni di carcere complessivi. Una vittoria dell’antimafia italiana che ci racconta un Paese profondamente diverso da quello in cui crediamo di vivere. L’esempio di Roma è fondamentale.

Giuseppe Pignatone, da un anno alla Procura della Repubblica, ha esportato lì il suo metodo, collaudato in Sicilia e in Calabria. Un metodo che ha fuso la collaborazione tra procure in modo ulteriore, legando Roma a Milano, a Napoli, a Reggio Calabria, permettendo di portare lo sguardo del Sud sulle dinamiche del Nord.

Un metodo che consente di arrivare dove le organizzazioni sono presenti, ma non parlano alcun dialetto.

Da anni è possibile tracciare una linea che collega le imprese in crisi di tutta Italia ai capitali criminali, gli unici in grado di portare una seppur effimera boccata d’aria alle attività in sofferenza.

Non si tratta di un’economia salvifica, ma di morbi che dall’interno svuotano le imprese per farne lavanderie per il riciclaggio.

E sono anni che le Procure dal Sud al Nord provano a smantellare un muro di connivenze e omertà.

Perché lo strapotere delle cosche non è solo dovuto alla capacità di riuscire a coniugare il saper fare impresa al ricorso sistematico alla violenza, ma anche e soprattutto alla complicità di soggetti, spesso politici e imprenditori, che anche se non sono organici ai clan, hanno il compito di traghettare le organizzazioni nell’economia sana, e permettere loro di consumarla dall’interno.

Senza clamore, senza versare sangue, sotto gli occhi delle istituzioni colpevolmente distratte. Quando non tacitamente complici.

«Dobbiamo infiltrarci come i polipi» diceva in un’intercettazione Giuseppe Pensabene, il boss ’ndranghetista a capo della locale di Desio.

Pensabene lo chiamavano “Banca d’Italia” perché gestiva a Seveso, in Brianza, una sorta di banca clandestina che immagazzinava denaro proveniente da riciclaggio e usura.

Parte di questo denaro spariva in Svizzera o a San Marino, parte veniva reinvestito nell’economia sana e parte veniva utilizzata per gli affiliati in carcere. A scoprirlo la Dda di Milano guidata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini.

È ormai evidente come le organizzazioni criminali siano penetrate talmente tanto a fondo nel tessuto economico lombardo, da sentire la necessità di dotarsi di una “struttura” ancora più efficiente per poter gestire i rapporti economici con il tessuto imprenditoriale locale.

Sono ormai lontani i tempi in cui ministri della nostra Repubblica osavano dire che era una bestemmia parlare di ’ndrangheta al Nord. Eppure ricordo bene la violenza degli attacchi che subii quando ne parlai in tv, durante “Vieni via con me”.

E ricordo bene con quanta prepotenza l’allora ministro degli Interni, attuale governatore della Lombardia, Roberto Maroni, pretese di venire in trasmissione per dire che no, al Nord non ci sono le organizzazioni criminali.

Le organizzazioni criminali le avete al Sud, ma il Nord ne è immune e la Lega Nord non ne sa niente. Salvo poi cadere in disgrazia proprio in seguito ai guai giudiziari dell’ex tesoriere Francesco Belsito, che secondo gli inquirenti “riciclava i soldi della ’ndrangheta”.

Assurdo il modo in cui fummo costretti a subire la presenza di Maroni da parte della dirigenza Rai e assurdo come il direttore Mauro Masi se ne vantasse al telefono con Luigi Bisignani il giorno dopo la trasmissione: Bisignani: Di Maroni dicono (i giornali, ndr): grande successo tuo.

Masi: Beh è la verità, l’ho fatto io.

Eppure, solo qualche mese prima, nel luglio del 2010, era scattata la maxi-operazione denominata “Crimine” legata all’indagine milanese “Infinito” che ci ha raccontato proprio le infiltrazioni della ’ndrangheta in Lombardia. Come dire: non si poteva non sapere. O forse si è voluto ignorare.

Invito la politica a imparare dai propri errori. Invito la politica a osservare il lavoro di chi studia le mafie da sempre, perché in un paese che ha le organizzazioni criminali più potenti del mondo, sono magistrati come Giuseppe Pignatone, Ilda Boccassini, Federico Cafiero De Raho, Michele Prestipino a restituirci un quadro complesso e completo della realtà.

È fondamentale non distogliere lo sguardo.

È fondamentale avere il coraggio di osservare questo quadro, anche se non dovesse piacerci ciò che vediamo, per capire davvero cosa è diventata l’Italia.

Articolo del settimanale l’Espresso, consultabile in forma originale ed integrale tramite il seguente link:

http://espresso.repubblica.it/opinioni/l-antitaliano/2014/03/12/news/e-maroni-negava-le-mafie-del-nord-1.156863

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